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Johann Kaspar Mertz 
A guitar portrait

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NOTE DI COPERTINA

di Alessandro Deiana

CENNI BIOGRAFICI
 

J. K. Mertz, all’anagrafe Casparus Josephus Mertz, nasce a Pressburg, nell’allora Ungheria (oggi Bratislava, capitale della Repubblica Slovacca), da una famiglia di artigiani il 17 agosto 1806.
Non vi sono notizie certe sulla sua formazione musicale e non vi è traccia di attività concertistica fino al 1834, quando si esibì nella città natale in un concerto organizzato dal pianista Johann Nepomuk Hummel, anch’egli nativo di Pressburg.


Nel 1840, probabilmente spinto dallo stesso Hummel, si trasferì a Vienna, uno dei più fiorenti centri della cultura europea. Il successo riscosso da un suo concerto patrocinato dell’Imperatrice Carolina Augusta del novembre 1840 allo Hofburgtheater, lo aiutò ad inserirsi nell’enclave sociale ed artistica viennesi. Nel corso dello stesso anno infatti iniziò il sodalizio con l’editore Tobias Haslinger con la pubblicazione dei Vaterlands-Blüthen, originelle hungarsche Op. 1 (Fiori della Patria), una raccolta di cinque ispirati brani che apre il presente lavoro discografico.
A partire dal 1841 Mertz conobbe un periodo di fortunate tournée concertistiche, esibendosi in Austria, Polonia e Russia.


Nel 1842 incontrò a Dresda la pianista Josephine Plantin, anch’essa impegnata in una tournée concertistica, che divenne sua moglie il 14 dicembre dello stesso anno. Josephine divenne per Mertz, oltre che compagna di vita, una preziosa collaboratrice: in veste di pianista lo accompagnerà in numerosi concerti. A lei si deve, inoltre, la redazione e la revisione delle parti pianistiche dei numerosi brani per chitarra e pianoforte pubblicati da Mertz. A partire da quell’anno la coppia visse, non senza difficoltà, a Vienna, dove furono entrambi impegnati come concertisti, compositori e didatti.


A partire dal 1846 la vita del compositore venne funestata da numerosi e gravi problemi di salute. Egli iniziò a patire di una dolorosissima nevralgia, male che la medicina del tempo curava con l’uso della stricnina. In seguito ad un violento attacco, l’amata Josephine, nella speranza di lenire le sofferenze Joseph Kaspar, ne aumentò la dose prescritta causandone un’intossicazione tale da portare il marito ad un passo dalla morte. I postumi dell’incidente tennero Mertz lontano dalla scena concertistica fino al febbraio 1848. Successivamente, a complicare il delicato quadro clinico, sopraggiunsero difficoltà cardiache e la tisi che lo condusse infine alla morte. Era il 14 ottobre 1856. Le spoglie mortali di Mertz furono tumulate in una tomba per poveri nel cimitero viennese di Sankt Marxer.
Beffardamente appena due giorni dopo la dipartita del compositore giunse a Vienna la notizia della vittoria riportata dal suo Concertino – per chitarra sola alla Brussels Competition, concorso di composizione chitarristica promosso da Nikolai Petrovich Makarov (1810-1890), nobile russo, chitarrista, egli stesso valente compositore, nonché instancabile organizzatore nel disperso mondo chitarristico romantico europeo.


Josephine Plantin Mertz sopravvisse a lungo al marito e solo qualche tempo prima della fine della propria vita, giunta nel 1903, vendette tutti i manoscritti e gli strumenti del marito. Numerosi lavori furono acquistati dal collezionista e chitarrista Carl Oscar Boije af Gennäs (tutto il prezioso fondo archivistico di Boije è oggi consultabile liberamente su internet), mentre altri materiali furono acquistati dalla Gitarristiche Vereinigung di Monaco di Baviera con una sottoscrizione dei soci.


Altre informazioni sul compositore vengono proprio dalle memorie di Nikolai Petrovich Makarov, pubblicate per la prima volta a Mosca come allegato alla rivista Moscovitianin nel 1859 col titolo di Zadushevnaya Ispoved (Confessione sincera).

Avevo progettato di visitare Mertz il giorno seguente. [...] Tuttavia, quando egli seppe da Fischer che ero a Vienna e che avevo mostrato un grande desiderio di incontrarlo, mi fece visita.
Mertz era un uomo alto, sui 50 anni, né grasso né magro, molto modesto e senza accenno di pretesa grandezza nei suoi confronti. Non appena fu possibile, gli offrii la mia chitarra [uno strumento decacorde] e gli chiesi di suonare qualcosa. La prese prontamente e iniziò immediatamente a suonare un'affascinante opera di grandi dimensioni.
"Da chi è scritto questo pezzo?" Ho chiesto.
"Da me" fu la risposta. "Non è stato ancora pubblicato."
Poi ha suonato un altro pezzo, e ancora un altro. Ognuno migliore del precedente - tutto magnifico. Ero sbalordito dalla sorpresa e dall'ammirazione. Mi sentivo come Colombo alla scoperta di una nuova America, perché avevo dinanzi a me il grande compositore di musiche per chitarra che da tempo avevo perso la speranza di trovare[...].
La musica suonata da Mertz, che ho ascoltato con estasi sempre crescente, conteneva tutto: una composizione ricca, grande conoscenza musicale, eccellente sviluppo delle idee, unità, novità, grandiosità di stile, assenza di espressività banali e molteplicità di effetti armonici.
Allo stesso tempo, c'era la chiara melodia di base, che continuava ad emergere sulla superficie di arpeggi e accordi. L’ effetto era brillante e audace. Alla base di tutto ciò c’era una profonda comprensione dello strumento, con tutte le sue possibilità e segreti nascosti. Delle sue sincere composizioni mi sono piaciuti particolarmente i finali e le introduzioni, perché erano insoliti e meravigliosamente sviluppati. Potrebbero essere rimossi dal resto e suonati separatamente senza perdere il loro potere e significato musicale.

Mertz fu un figlio del suo tempo: la sua stessa vita sembra uscita dalla penna di qualche coevo librettista d’opera ed i suoi riferimenti estetici, musicali e lo stile compositivo, lo proiettano a pieno titolo nel movimento romantico europeo.
Sebbene sia annoverato dai chitarristi fra i più illustri compositori per lo strumento, l’attenzione dei concertisti ancora oggi è rivolta ad un ridottissimo numero di composizioni, infatti la maggior parte delle sue opere sono di raro o rarissimo ascolto. La memoria collettiva e persino la stessa storiografia musicale conservano tracce minime di quest’uomo che fu tuttavia artefice, insieme a Napoleòn Coste, Giulio Regondi e pochi altri, della sopravvivenza stessa della chitarra nell’epoca del pianoforte e delle grandi sonorità orchestrali. A dimostrazione di quanto affermato è emblematico il fatto che Joseph Kaspar Mertz viene curiosamente ed erroneamente ricordato ancora oggi col nome di Johann Kaspar, come riportato nella maggior parte delle pubblicazioni a partire dall’inizio del XX secolo.


 

APPUNTI SUL PROGRAMMA DELLA REGISTRAZIONE.


Egli fu un compositore piuttosto prolifico, considerando che la sua attività si concentrò nel breve arco di un ventennio. Fra gli oltre cento numeri d’opera editi e i numerosi manoscritti, nell’affrontare questa pubblicazione, si era inizialmente pensato di fare una selezione fra le sole opere originali. Col procedere dell’analisi del catalogo ci si è persuasi che, per tracciare un profilo esaustivo dell’autore, non si poteva ignorare il suo lavoro di fine trascrittore. Perciò sono state selezionate due delle polonaises del principe polacco e pianista Michał Kleofas Ogiński (1765 – 1833) trascritte da Mertz ed inserite nei volumi 12 e 13 del ciclo Bardenklänge Op. 13 (l’opera originale per pianoforte di Ogiński fu pubblicata nel 1828 proprio da Haslinger).
I Bardenklänge (I suoni bardici), qui rappresentati con una libera selezione di brani, consistono in un corpus di quindici volumetti contenenti da una a quattro composizioni.
Scritti in gran parte fra il 1846 e il 1848, durante la convalescenza, vennero pubblicati in tempi diversi. I primi tredici volumi furono dati alle stampe fra il 1847 e 1852, i rimanenti due sono di pubblicazione postuma. La musa ispiratrice di almeno parte dell’opera va ricercata nel mito del bardo Ossian, reso celebre dalla pubblicazione dei Fragments of ancient poetry (1760) del poeta scozzese James MacPherson (1736 – 1796). Il brano d’esordio dei Bardenklänge, An Malvina (a Malvina), è dedicato infatti alla giovane vedova dell’eroe Oscar, figlio di Ossian, quasi a voler evocare colei che fu nei Canti di MacPherson la guida del vecchio bardo errante divenuto cieco.
I miti ossianici sono insolubilmente legati alla formazione del pensiero romantico europeo, movimento al quale Mertz aderì con entusiasmo lasciandone prova ne Le Romantique – Grande Fantasie. Opera tripartita e ricca di ispirazione, fu scritta per chitarra decacorde. Qui è stata oggetto di un’attenta revisione e adattamento alla chitarra a sei corde con l’intento di renderla eseguibile conservarne intatto il carattere epico, nostalgico e malinconico. La fonte di riferimento per questo brano è stato il manoscritto apocrifo MS 172 conservato alla Royal Danish Library, riferibile probabilmente al chitarrista danese Thorvald Rischel (1861 - 1939) o al suo maestro Søren Degen (1816-1885).
In chiusura della presente pubblicazione vengono proposti i Trois Morceaux de Concert Op.65 che furono, con tutta probabilità, proprio i brani ascoltati da Makarov durante l’incontro di cui sono state sopra riportate le cronache. Fantasie Hongroise, Fantasie Originale e Le Gondolier, questi i titoli delle tre composizioni, vennero pubblicate postume in un unico volume nell’anno 1857. Come per Le Romantique anche questi ampi brani sono stati in minima parte revisionati per consentirne l’esecuzione sullo strumento esacorde.
Le registrazioni sono state effettuate su una chitarra anonima di scuola viennese sullo stile del celebre liutaio Johann Georg Stauffer (1778-1853), riferibile alla metà del XIX secolo.

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